La coltivazione di zafferano genera sempre molta curiosità, anche per via dell’altissimo prezzo al grammo di questa spezia.
Siccome coltivare in campo con metodi tradizionali è piuttosto impegnativo in termini di ore di lavoro, capita che si cerchino nuove strade. In particolare negli ultimi tempi si moltiplicano articoli, post e notizie in merito a sperimentazioni di coltivazione dello zafferano in idroponica, acquaponica o aeroponica.
Scopriamo se queste sono strade che davvero si possono percorrere in modo conveniente.
Esperienze attuali di zafferano idroponico
Nonostante da diversi anni si parli di coltivazione idroponica, ad oggi la stragrande maggioranza di produttori coltiva ancora il crocus sativus in campo.
Magari con nuovi accorgimenti, migliorie, approcci diversi e sperimentazioni (pacciamatura, consociazioni,… ), ma pur sempre impiantando i bulbi (o meglio, cormi) in piena terra. Al limite ci sono sperimentazioni di coltura in cassoni rialzati.
Non siamo a conoscenza di esperienze di successo di zafferano fuori terra. Capita sempre più di frequente di imbattersi nell’esperienza di qualche “pioniere” che punta ad applicare logiche di coltivazione idroponica allo zafferano, ma nessuno di nostra conoscenza ha alle spalle qualche anno di esperienza.
Se conoscete produttori che portano avanti da anni una coltivazione acquaponica o idroponica, fatecelo sapere nei commenti.
Lo zafferano in idroponica è fattibile?
A livello teorico lo zafferano, come qualsiasi altra coltura, è coltivabile con metodo idroponico. Non è detto che sia semplice, perché bisogna trovare il giusto mix di nutrizione, calcolare gli spazi, in modo da soddisfare le esigenze della pianta.
A chi volesse cimentarsi in una sperimentazione il primo consiglio è di non accontentarsi dei risultati ottenuti con il primo raccolto.
I bulbi infatti hanno già in sé molte risorse e saranno facilmente in grado di dare un’ottima fioritura il primo anno.
Il vero responso per valutare la bontà della tecnica di coltivazione lo avremo al termine del ciclo vegetativo (intorno a maggio), quando avremo evidenza dell’esito finale del processo di moltiplicazione dei bulbi.
Si trovano coltivatori idroponici vantare una meravigliosa fioritura, anche documentata con foto. Bisogna però capire a fine anno quanti nuovi bulbi si ritroveranno e quale sarà la pezzatura. La chiave di successo infatti è proprio la moltiplicazione dei cormi, da cui dipendono poi i risultati del secondo anno. Su questo punto le poche esperienze documentate disponibili sembrano tutte indicare una moltiplicazione incontrollata dei cormi, che si suddividono per dar vita a numerosi bulbi di piccole dimensioni, quindi una perdita di pezzatura.
Perché coltivare zafferano in idroponica
Per prima cosa andiamo ad analizzare quali sono i possibili vantaggi di una coltivazione idroponica.
Le principali argomentazioni addotte dai fautori di questa tecnica innovativa si possono riassumere in 5 punti:
- Tanta resa, in poco spazio. La coltivazione idroponica consente di massimizzare la resa in termini di fioritura (per unità di superficie impiegata), eventualmente ricorrendo a più livelli verticali;
- Ottenere più raccolti ogni anno. La resa in fiori può ulteriormente essere incrementata, raggiungendo più raccolti (2,3,4) nell’arco di un anno, grazie ad un governo totale delle condizioni ambientali (luce e temperatura), oltre che dei principi nutritivi forniti alle piante.
- Comodità e purezza di raccolta. La coltivazione idroponica, svolta all’interno di serre (coperte o aperte), agevola notevolmente la fase di raccolta. Può essere condotta comodamente in piedi e all’asciutto anche in caso di maltempo. La protezione dalle intemperie favorisce la qualità del prodotto, evitando che nelle giornate di pioggia battente i fiori rischino di essere sporcati da schizzi di terra e fango.
- Minor rischio di patogeni. La coltivazione in ambiente controllato consente di ridurre notevolmente i rischi derivanti dall’insorgere di patologie fungine, a maggior tutela dei cormi impiantati.
- Minor lavoro manuale (in particolare niente “erbacce”). Nella coltivazione idroponica non occorre gestire le erbe infestanti, un lavoro molto impegnativo in termini di ore nel corso dell’anno. Coltivando fuori terra inoltre si risparmia lavoro anche di impianto ed espianto.
A prima lettura questi argomenti sembrano tutti concreti e ragionevoli motivi per abbracciare la coltivazione dello zafferano in idroponica. Si ottiene un raccolto maggiore, di qualità migliore, facendo meno fatica: perchè privarsi di questa splendida opportunità?
Ma forse non è tutto oro ciò che luccica.
Quale investimento richiede l’idroponica?
Per coltivare zafferano in campo ci basta comprare i bulbi e avere un terreno a nostra disposizione. La preparazione del terreno richiede spese trascurabili (alcune lavorazioni molto semplici, per cui possiamo pagare un terzista con trattore, e la concimazione, fattibile con letame).
Per la coltivazione idroponica invece saranno necessari:
- Serra (aperta o chiusa che sia).
- Banconi, vasi, tubi e strutture varie in plastica per disporre i cormi.
- Substrato inerte per “sostenere” le piante.
- Infrastruttura necessaria a creare il circolo di acqua (autoclavata, ossigenata, arricchita, controllata, etc. etc.!) nella quale rimarranno immerse le radici.
- Concimi specifici per questo utilizzo.
- Eventuali lampade per illuminazione artificiale e riscaldamento/condizionamento per controllare le temperature, qualora si voglia puntare a più di un raccolto all’anno. Con relativi consumi energetici.
Non è facile trovare dati pubblici, ma è lecito immaginare che l’investimento iniziale in infrastrutture sia considerevole.
Quanti anni servono per ammortizzare questo investimento?
Che ovviamente va a sommarsi a quello principale (nel metodo tradizionale) necessario per l’acquisto dei bulbi.
Quindi il potenziale vantaggio in termini di resa in fiori, quanti anni richiede per rendere profittevole l’oneroso investimento aggiuntivo richiesto dalle tecniche idroponiche?
Ottenere più raccolti all’anno è davvero possibile?
Non è banale capire come si concilia l’ipotesi di cicli di fioritura multipli (3 o 4 all’anno), con il naturale ciclo evolutivo della pianta:
Da un lato è possibile immaginare di controllare luce e temperatura e portare a fioritura i bulbi in più momenti diversi nell’arco dell’anno, ma cosa sarà di questi bulbi?
Molte evidenze segnalano come la coltivazione in idroponica sembri imbattersi in grossi problemi in termini di crescita e moltiplicazione dei bulbi, ottenendo in uscita dal ciclo vegetativo una suddivisione molto spinta in piccoli cormi non più capaci di dare fiore.
Questo vorrebbe dire che ogni anno (o addirittura ogni ciclo di fioritura) sarà necessario riacquistare nuovi bulbi.
Il coltivatore di zafferano è innanzitutto un coltivatore di bulbi prima che un raccoglitore di fiori, principio fondamentale per tutelare la principale voce di investimento, vale a dire il nostro capitale in bulbi
La raccolta dello zafferano idroponico
Per quanto concerne la comodità di raccolta, in piedi e all’asciutto, si potrebbe concordare. Tuttavia l’altissima densità di cormi per superficie può portare non poche complicazioni in raccolta, per intercettare tutti i fiori in una selva di foglie, data l’estrema vicinanza delle piante.
La qualità dello zafferano in idroponica
Per l’impatto sulla qualità della coltivazione idroponica, l’unica considerazione potenzialmente valida è quella relativa alla purezza, ossia il minor rischio di avere fiori e stimmi sporchi di terra nelle giornate di pioggia battente.
Che incidenza può avere questo evento?
Esistono accorgimenti per ridurre il problema anche nella coltivazione tradizionale (lasciare parzialmente inerbito, asciugare e tamponare i fiori post raccolta e prima della mondatura, …).
Per il resto risulta alquanto improbo dimostrare una correlazione fra la qualità della spezia ed il controllo dei principi nutritivi forniti. Questa è un’affermazione vera per l’idroponica come per la coltivazione tradizionale, perché rispetto alle condizioni colturali impatta in modo molto più netto il processo di essiccazione e conservazione della spezia.
Minori malattie
La riduzione del rischio di attacchi fungini va di pari passo con un costante utilizzo di prodotti fitosanitari che contrastino il problema.
Inoltre di certo l’estrema vicinanza delle piante rappresenta un fattore di rischio clamoroso a confronto di una coltivazione tradizionale impostata con una geometria “larga e comoda”, dove la semplice distanza fisica è uno strumento di tutela e controllo della propagazione dell’agente patogeno.
La sostenibilità ambientale dello zafferano
Abbiamo esaminato possibili vantaggi e criticità di una coltivazione idroponica dello zafferano. Fino a qui ciascuno potrà fare le sue valutazioni.
Ai sostenitori dell’idroponica resta da chiarire il punto fondamentale relativo alla crescita e moltiplicazione dei bulbi.
Ma c’è ancora un argomento importante che non abbiamo affrontato: la sostenibilità.
Anche supponendo che la coltivazione idroponica sia sostenibile economicamente, occorre capire quanto lo sia a livello ambientale.
Lo zafferano è una coltura low-input, che in pieno campo è gestibile con un consumo di risorse veramente basso.
Può essere svolta su superfici marginali e anche non irrigue (sicuramente vero alle nostre latitudini e in zone con clima temperato). Può rappresentare una coltura ad alto valore aggiunto in grado di valorizzare appezzamenti residuali in zone periurbane ed iper-cementificate, così come anche terrazzamenti e fazzoletti di terra a rischio abbandono in zone collinare e montane. Contribuendo, con la manutenzione che ne consegue, anche ad una notevole riduzione del rischio idrogeologico, vera e propria piaga del nostro Paese.
E a fronte di tutti questi vantaggi ha davvero senso realizzare sovrastrutture costose, impiegando materiali ed energie, per realizzare una coltura fuori suolo?
Sinceramente, anche a rischio di apparire iper-tradizionalisti… no, grazie!
Articolo di Guido Borsani e Matteo Cereda